venerdì 12 dicembre 2008

Le conseguenze economiche di Herr Steinbrueck

C'è una straordinaria - e straordinariamente deprimente - intervista a Newsweek a Peer Steinbrueck, ministro delle finanze tedesco. L'economia mondiale si trova in una terrificante caduta a picco, visibile ovunque. Eppure il signor Steinbrueck rimane rigidamente contrario a qualsiasi misura straordinaria che riguarda il fisco, e denuncia Gordon Brown per il suo "Keynesianismo brutale".

Ci si potrebbe chiedere perché dovremmo interessarcene. L'economia della Germania è la più grande in Europa, ma rappresenta solo circa un quinto del PIL dell'UE, ed è solo circa un quarto delle dimensioni dell'economia statunitense. Allora quanto conta l'intransigenza tedesca?
La risposta è che la natura della crisi, in combinazione con l'elevato grado di integrazione economica europea, dà alla Germania un ruolo strategico particolare in questo momento - e il signor Steinbrueck sta quindi facendo una notevole quantità di danni.

Ecco il problema: ci stiamo rapidamente muovendo verso un mondo in cui la politica monetaria ha poca o nessuna forza di trazione: i tassi dei buoni del tesoro negli Stati Uniti sono già pari a zero, e il livello quasi zero prevarrà nella zona euro molto presto. Non rimane altro che la politica fiscale. Ma in Europa è molto difficile avere un'espansione fiscale a meno che non sia coordinata.

Il motivo è che l'economia europea è molto integrata: i paesi europei spendono in media circa un quarto del loro PIL sulle importazioni gli uni dagli altri. Poiché le importazioni tendono a salire o scendere più rapidamente del PIL nel corso di un ciclo economico, questo probabilmente significa che qualcosa come il 40 per cento di tutti i cambiamenti della domanda finale "fuoriesce" attraverso le frontiere tra stati europei. Di conseguenza, il moltiplicatore sulla politica fiscale in un dato paese europeo è molto inferiore al moltiplicatore su un'espansione fiscale coordinata. E a sua volta significa che il trade-off tra deficit e sostegno all'economia in un momento di difficoltà è molto meno favorevole per un paese europeo singolo che non per l'Europa nel suo insieme.

Si tratta, in breve, del classico esempio del tipo di situazione in cui il coordinamento delle politiche è fondamentale - ma non si avrà coordinamento se i responsabili politici della più grande economia europea si rifiutano di collaborare.

Se la Germania impedisce una risposta europea efficace, questo aumenta in maniera significativa la gravità della recessione globale.

È in atto un enorme effetto moltiplicatore; purtroppo, ciò che sta facendo però è moltiplicare l'impatto dell'attuale stupidità del governo tedesco.


Tratto da:
The economic consequences of Herr Steinbrueck di Paul Krugman su New York Times, 11 dicembre
Tradotto da Thomas Carraro

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domenica 23 novembre 2008

Di quanta informazione abbiamo bisogno?

Comincia da oggi una serie di posts che trattano un tema molto complesso con lo scopo di rispondere alla seguente domanda: di quante informazioni ha bisogno una persona per prendere delle decisioni in diverse situazioni?

Gi articoli della serie sono segnati dalla label "how much information".

Qui sotto riporto la traduzione dell'introduzione di un articolo apparso su "EUROPEAN JOURNAL OF OPERATIONAL RESEARCH" del professore di scienze cognitive alla Indiana University Peter M. Todd

Introduzione

Gli esseri umani sono piuttosto impazienti, vogliono fare delle valutazioni istantanee e giungere a veloci conclusioni sulla base di pochissime informazioni. Anche quando più informazioni sono facilmente disponibili, molte decisioni sono prese sulla base di impressioni veloci senza preoccuparsi di raccogliere ulteriori dati. Lo stesso vale per i casi in cui c'è l'opportunità di estendere il numero di scelte possibili: le persone cercano spesso di evitare alternative supplementari e si accontentano invece di una delle possibilità già disponibili. Queste mancanza di ricerca di ulteriori informazioni o alternative si verifica a tutti i livelli del processo decisionale, dalle decisioni relativamente senza importanza a quelle piuttosto importanti. Ad esempio, le persone scelgono prodotti ed acquistano azioni sulla base del riconoscimento del solo nome (Goldstein e Gigerenzer, 1999 e Goldstein e Gigerenzer, 2002), e le persone in cerca di informazioni sul web tendono a smettere di ricercare in un sito dopo meno di due clic, piuttosto che ricercare più approfonditamente per vedere se il sito può essere utile (Huberman et al., 1998). Un esempio leggermente più rilevante è il fatto che persone in cerca di appartamenti si accontentano di considerare mediamente solo 6 delle 25 possibilità messe a loro disposizione prima di prendere una scelta (Saad e Russo, 1996). Più drastico ancora è il fatto che le persone si innamorano a prima vista senza sapere qualcosa di più sui loro partner. Indipendentemente dal fatto che ciò sia vero o meno, alcune indagini negli Stati Uniti hanno mostrato che più di un terzo degli individui intorno ai trent'anni, ha sposato nei dieci anni precedenti la prima persona con la quale ha avuto rapporti sessuali - un fatto che gli economisti hanno sottolineato come prova di inadeguatezza degli esseri umani nella ricerca di informazioni (Frey e Eichenberger, 1996).Risultati come questi portano alla conclusione che le persone agiscono in tali situazioni in modo irrazionale (Piattelli-Palmarini, 1996 e Gigerenzer e Todd, 1999). La cosa giusta da fare in base alle tradizionali norme di razionalità è quella di raccogliere tutte le informazioni disponibili e di combinarle adeguatamente, o di prendere in considerazione tutte le alternative possibili fino a quando i costi di fare ciò non ne superi i potenziali vantaggi. Facendo meno di ciò si rischia di commettere errori e ottenere un giudizio scadente. Ma è effettivamente così sbagliato prendere decisioni in modo così rapido come l'uomo spesso fa? Quante opzioni dovremmo prendere in considerazione?Di quanta informazione abbiamo bisogno?
La risposta sorprendente che è stata trovata in sempre più ricerche recenti sul decision-making (processo decisionale) è questa: per molte situazioni, non sono necessarie molte informazioni. Invece di dover trattare tutti i fatti e prendere in considerazione tutte le opzioni, le persone possono spesso prendere decisioni che sono sorprendentemente buone, utilizzando semplici procedimenti euristici "veloci e frugali", e usando strategie di scelta rapida che ignorano un sacco di informazioni. Il trucco è quello di ignorare i pezzi giusti di informazione, che sono i pezzi non necessari. O detto in altre parole, il trucco è quello di ricercare i pochi pezzi di informazioni o scelte alternative che saranno più utili e di processarle in modo appropriato. Sono stati scoperti semplici procedimenti euristici che accompagnano questo trucco in vari campi del processo decisionale. Il presente documento introduce alcuni di questi meccanismi di decisione in settori che vanno dalla scelta degli alimenti alla scelta del/la compagno/a e mostra come lo studio di procedimenti euristici può aiutare la nostra comprensione e la pratica della procedura del prendere delle buone decisioni e creare degli strumenti per contribuire a raggiungere buone decisioni con informazioni limitate.


Tratto da:
How much information do we need? di Peter M. Todd
su EUROPEAN JOURNAL OF OPERATIONAL RESEARCH, 23 giugno 2005

Traduzione di Thomas Carraro

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lunedì 17 novembre 2008

Town meeting: il 55% dei giovani dice no al nucleare

Firenze, 17 novembre 2008 - Il 55% dei circa 600 giovani europei che hanno partecipato al primo town meeting elettronico continentale considera “irresponsabile” promuovere l'uso dell'energia nucleare.
Ma il più convinto “no” all'atomo viene dagli spagnoli (63%) e dai francesi (59%) mentre gli italiani contrari sono esattamente la metà (50%) del campione.


E' questo uno dei più interessanti responsi uscito dall'iniziativa che si è svolta oggi alla Fortezza da Basso di Firenze e che ha visto riuniti poco più di 200 giovani toscani tra i 15 e i 35 anni e, collegati via web, altri loro coetanei della Catalogna e del Poitou-Charentes.

«Spesso si pensa che l'avversione verso il nucleare – afferma l'assessore regionale alla partecipazione, Agostino Fragai – sia il segno di un certo provincialismo italiano. Emerge invece con una certa chiarezza che chi conosce il nucleare lo vorrebbe evitare ed è più contrario, mentre i nostri ragazzi sostanzialmente non hanno a che fare con le centrali ed è quindi logico che siano meno preoccupati della loro presenza. L'altro dato che esce con evidenza è che 6 giovani su 10 sono favorevoli a consumare meno energia, ridurre bisogni e migliorare l'efficienza energetica e 2 su 3 giudicano l'attuale sistema non sostenibile e non rispettoso delle generazioni future. Mi pare un indice di grande maturità e consapevolezza, di livello davvero europeo».

Le altre opinioni espresse dai giovani italiani, francesi e spagnoli hanno riguardato la necessità di sviluppare le energie rinnovabili (con il 40% di favorevoli), sostenere quelle imprese che investono in efficienza e creare leggi per punire gli sprechi energetici (suggerito dal 73%). E alla domanda se l'attuale crisi economica abbia cambiato il loro punto di vista sul riscaldamento globale, il 71% ris ponde che tutti gli Stati dell'unione devono essere messi in condizione di raggiungere l'obiettivo europeo per arrivare entro il 2020 a ridurre del 20% consumi ed emissioni in atmosfera e aumentare della stessa percentuale la produzione di energia da fonti rinnovabili.


Tratto da:
Town meeting: il 55% dei giovani dice no al nucleare di Tiziano Carradori
su
intoscana.it Il portale ufficiale della Toscana, 17 novembre 2008

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martedì 11 novembre 2008

Il caso Islanda: l’occhio del ciclone della crisi finanziaria

Tra le vittime dell’attuale tsunami abbattutosi sui mercati fínanziari, innescato prima dalla crisi dei mutui sub-prime (1) statunitensi lo scorso anno ed amplificato poi dallo stato di dissesto del sistema bancario dell’economia a stelle e striscie, vi è da annoverare la piccola Islanda.

La cronaca
La remota repubblica dei ghiacci è oggi sull’orlo del collasso. La situazione di estrema gravità è venuta allo scoperto alla fine dello scorso settembre quando il governo di Reykjavik ha deciso di porre sotto il controllo statale la Glitniril, la terza banca del paese, subentrando nel 75% del capitale della banca per un esborso 600 milioni di euro. La situazione precipita il 7 ottobre con la decisione dell'Autorità di Sorveglianza Finanziaria islandese (FME) di porre sotto amminstrazione la seconda banca del paese, la Landsbanki, due giorni dopo l'agenzia di rating Standard & Poor's taglia di due livelli il rating sul debito sovrano dell'Islanda, portandolo a BBB (rating assegnato ai Junk Bond, ossia titoli spazzatura). Lo stesso giorno la corona islandese - Krona – accelera la caduta nei confronti dell’euro arrivando a perdere fino a un quarto del suo valore, per poi ridurre la flessione, appresa la notizia di un molto probabile prestito di 4 miliardi di euro che la Russia sarebbre pronta a concedere alla repubblica scandinava. Il 9 Ottobre la stessa FME annuncia l’amministrazione controllata della prima banca commerciale del paese, la Koupthling, nello stesso giorno la Krona è sospesa dalle contrattazioni dopo che era arrivata a perdere fino al 78% del suo valore in poche ore, da 131 euro (2) a 340 euro.
La borsa islandese, l’OMEX Iceland 15, il cui listino é composto per il 73% dal peso degli istituti di credito coinvolti, alla riapertura lunedi 14 ottobre, dopo una settimana di blocco delle contrattazioni, lascia sul terreno circa il 77% dell’intera capitalizzazione.

Indice OMEX Iceland 15 dal gennaio 1998

La dinamica
La repubblica di Islanda con un reddito annuo procapite di circa 40.000 dollari (2007) è considerata tra i paesi più sviluppati al mondo in termini di stato sociale, libertà economiche e, come standard di vita, si pone al primo posto nell’Human Development Index (2007). Negli anni novanta l’introduzione di una serie di riforme liberiste dell’allora governo conservatore di David Oddsson – oggi presidente della Banca Centrale – ha spinto lo sviluppo del settore finanziario facendolo divenire in breve tempo la componente più dinamica dell’intera economia islandese rispetto alle tradizionali attività quali pesca, lavorazione dell’alluminio e turismo. A oggi 30% della forza lavoro è impiegato nel settore finanziario. Nell’ultimo decennio i principali istituti di credito Landsbanki, Kaupthing e sopratutto l’Icesave - sussidiaria della Landsbanki all’estero - hanno intrapreso un’aggressiva politica di espansione oltre i confini nazionali spesso attraverso finanziamenti interbancari a breve termine. Più recentemente, raccogliendo depositi da parte di non residenti allettati dagli alti tassi attivi con cui venivano remunerati i conti correnti delle banche islandesi rispetto a quelle domestiche. Alla fine di settembre si stima che nel solo Regno Unito i depositi in Krone presso la Icesave ammontassero a 1,250 miliardi di Krone, circa 6,5 miliardi di Sterline.
Durante il 2008 l’accelerazione della massa monetaria in circolazione dovuta alla richiesta di Krone dall’estero, l’aumento consistente del debito al consumo da parte degli islandesi - fino al 216% del reddito disponbile - ed il generalizzato aumento dei prezzi delle materie prime hanno spinto il tasso d’inflazione della piccola economia islandese al 14% - a fine settembre - contro un’obiettivo del 2,5% fissato per il 2008, costringendo la Banca centrale ad innalzare i tassi d’interesse al 15,5%. Se questo ha permesso agli istituti di credito islandesi di continuare remunerare i depositi esteri con elevati tassi attivi ha, allo stesso tempo, appesantito il servizio del debito (3) – circa 50 miliardi di euro a fine giugno 2008 - denominato sopratutto in valuta estera, così da mettere ulteriomente sottopressione la difesa della paritá della Krona, che a solo gennaio veniva scambiata a circa 90 Euro per Krona.
La concomitanza del credit crunch (4) sui mercati interbancari innescato dalla crisi dei mercati finanziari internazionali e la contemporanea corsa ai depositi da parte dei clienti non residenti dell’Icesave di fronte alla persistente debolezza della Krona, ha reso impossibile il rifinanziamento dei debiti a breve termine contratti dai maggiori istituti di credito islandesi, quindi il default (5) e la necessaria nazionalizzazione. Infatti essendo l’80% del debito estero detenuto dal settore bancario, ciò ha comportato un esposizione di tale livello da rendere impossibile un finanziamento in ultima istanza della Banca centrale. Procedura altirmenti tipica in queste circostanze.
A oggi l’esposizione debitoria contratta dagli istituti di credito islandesi ammonta a circa 50 miliardi di Euro, per un paese che dispone di reserve in valuta pari a 5 miliardi di dollari (fine 2007), con un PIL di 8,5 miliardi di Euro ed una popolazione di poco piú 300.000 abitanti (la città di Verona) significa una montagna di debiti, ovvero una probabile bancarotta nazionale.

Cambio Krona/Euro dal gennaio 2008

Fuori dall’isola
Si stima che nel solo Regno Unito siano ancora depositati presso l’Icesave circa quattro miliardi di sterline, non solo da parte di residenti privati ma anche di un centinaio di enti locali e municipalitá come, ad esempio, l’ente trasporti di Londra.
In un primo momento la decisione da parte del governo di Reykjavik di congelare i conti esteri (7 ottobre) e garantire solo i conti dei cittadini islandesi ha innescato una serie di reazioni, specie da parte di Londra che ha considerato la scelta unilaterale di Reykjavík come un “atto di ostilità”. Appelandosi all’Anti-terrorism act del 2001 ha quindi bloccato tutti gli asset patrimoniali detenuti dagli istituti di credito islandesi nel Regno Unito (10 ottobre). Con il precipitare degli eventi diversi governi hanno intrapreso azioni simili a tutela dei propri risparmiatori, in particolare le filiali della principale banca islandese, la Kaupthing, sono state messe sotto amministrazione controllata da parte del governo norvegese (12 Ottobre), belga e lussemburghese (15 Ottobre), mentre il governo svedese ha optato per una linea di credito facilitata per 530 milioni di euro “a copertura dei depositanti e altri creditori”.
Il 12 ottobre viene raggiunto un’accordo tra il governo di Reykjavik e quello di Amsterdam per lo scongelamento dei conti sul suolo olandese. Il governo islandese garantitirá un rimborso fino a 20.887 euro per ogni conto presso la Icesave Netherland, che nel paese ha depositi per 1,7 miliardi di euro. Mentre secondo la FSCS inglese (Financial Services Compensation Scheme) i clienti inglesi – circa 300.000 - dovranno aspettare la fine del mese di novembre per accedere di nuovo ai loro conti. Sarebbero invece circa 100.000 i risparmiatori italiani coinvolti dalla crisi islandese poiché detentori di polizze index linked(6) garantite dagli istituti coinvolti nella crisi.
Resta ancora da definire il prestito di 4 miliardi di Euro che Mosca sembrerebbe disposta a concedere alla repubblica islandese. L’improvvisa solidarietà per la remota isola scandinava da parte del Cremlino sarebbe da imputare alla posizione strategica che questa avrebbe in visione dello sciogliemento del dell’artico ma, trattandosi di un paese NATO, alcune compomenti della Duma (comunisti e liberaldemocratici) avrebbero posto alcune condizioni “politiche”, come l’ipotesi di una base militare sull’isola.
È invece da considerarsi cosa certa il prestito di 2 miliardi di euro concesso dal Fondo Monetario Internazionale (24 ottobre).


Sull’isola

Il piano di salvataggio presentato dal primo ministro conservatore Geir Haarde prevede ora che le banche vendano - o meglio svendano - parte dei loro asset internazionali riportando così in patria capitali freschi impedendo così un’ulteriore deprezzamento della corona. «Le banche sono disposte a vendere i loro asset esteri e credo che questa sia una misura necessaria», ha affermato Haarda. Di fatto le nuove banche, “rinate” dalle proprie ceneri, dovranno, almeno in una prima fase, concentrarsi esclusivamente sulla malconcia economia islandese accantonando qualsiasi velleità estera. Il governo ha quindi esercitato pressioni sulle sigle sindacali perchè riportino a casa i fondi pensione sino ad oggi investiti all'estero; l'esecutivo avrebbe chiesto inoltre il congelamento di ogni trattativa salariale. Il sindacato si trova di fronte ad una scelta obbligata. «Dobbiamo fare tutti la nostra parte perchè questa missione di salvataggio abbia successo», ha detto Arnar Sigmundsson, presidente della National Association of Pension Funds. La verità sembra però essere un'altra. Il sindacato avrebbe, infatti, chiesto come contro-partita ciò che fino ad oggi era ritenuto impensabile: l'entrata nell'Unione Europea. Fumo negli occhi per il primo ministro Haarde, euro-scettico della prima ora.

Leifur ha lo sguardo un po’ frastornato, sta tentando di adeguarsi alla “nuova” patria. Negli ultimi quaranta giorni è andato per mare – l’associazione marinai islandese non permette periodi superiori – ed è tornato con 700 tonnellate di merluzzo ed eglefino pescati nello stretto di Berings. Il suo stipendio è pagato in Krone quindi con un potere di acquisto ridotto di un terzo da quando è partito, la sua banca, la Landsbanki, è scomparsa, suo cugino che lavorava per la stessa ha perso lavoro. Il primo ministro Haarde invece di infondere fiducia, mette senza mezzi termini in guardia dalla minaccia di bancarotta nazionale. Leifur ha 37 anni, i suoi nonni vivevano ancora in case fatte di zolle erbose a diretto contatto con la natura e con l’isola che viveva di pesci e pecore, dove allora l’industria più importante produceva protesi.
Le privatizzazioni thachteriane introdotte negli anni novanta hanno creato un’Islanda a due velocità. Da una parte ancora l’odore dell’olio di fegato di merluzzo delle banchine, dall’altra la banca d’investimento off shore in cui si è trasformata gran parte dell’economia dell’isola con partecipazioni in istituzioni finanziarie estere, ma anche in squadre di calcio, catene di negozi di moda e boutique negli Stati Uniti ed in Europa. La nuova oligarchia di milionari nati dall’intreccio tra affari, finanza e stock options (7) ha trasformato la sorniona Reykjavík in una “clubbing metropole”, una delle poche città del nord Europa dove di può ballare per tutta la notte. E, in effetti, molti hanno partecipato al party negli ultimi anni. Dimenticata la vita frugale del passato, molti islandesi hanno mostrato un’inverosimile e sofisticata cultura finanziaria e, incentivati anche dalle banche, hanno rinnovato il parco auto e appartamenti indebitandosi in valuta estera, Dollari, Yen, Sterline contando appunto sulla forza della Krona.
Il debito accollatosi dallo stato islandese a seguito delle nazionalizzazioni peserà su ogni abitante dell’isola per circa 160.000 euro (a cambio stabile). L’islanda ha una forte dipendenza dall’estero. Per quel che riguarda gli approvvigionamenti di beni di prima necessità, la diffidenza dei fornitori ad consegnare merci senza farsi pagare in anticipo e, sopratutto, l’inconvertibilià della valuta locale sta causando una penuria di generi alimentari e svuotando gli scaffali dei supermercati. Quello che aspetta l’isola sarà un brutale ritorno a terra o meglio al passato, ci sarà da aspettarsi nei ristoranti alla moda di Reykjavik meno vino dell’Alsazia e più Vodka islandese filtrata nella roccia lavica, meno Brie e piú pinna di foca rancida o carne di squalo putrefatta, senza contare una leccornia tipica della capitale, i testicoli di montone marinati nel siero di latte.
Il 28 Ottobre, all’indomani del prestito concesso del FMI, la valuta islandese messa sotto pressione dalle posizioni short – al ribasso - degli hedge funds, ha riaperto le contrattazioni lasciando sul terreno più 50% del valore – a 240 Euro -, la Banca Centrale ha portato i tassi d’interessi al 18%, dal 12% del giorno prima, bloccando di nuovo la convertibilità della valuta.

“Curiosità”
- “Gli uomini sporcano poi tocca alle donne pulire”, così una fonte ufficiale del governo ha annunciato, dopo l’azzeramento dei “comitati direttivi” delle banche nazionalizzate, la presa in carica rispettivamente alla direzione della New Landsbankid da parte di Mrs Sigfúsdóttir - Head of corporate banking dal 2003 – e Mrs Einarsdóttir – Head of domestic commercial banking – alla New Glitnir. È molto probabile che pure alla pricinpale banca del paese, la New Kaupthling, avvenga lo stesso. Il tutto si inserisce in una generale ricusatoria contro i maschietti rampanti che hanno guidato il sistema bancario islandese alla bancarotta spinti da un’eccesso di testosterone e avidità.

Infine...
Dal 10 di Ottobre un cittadino britannico ha messo in vendita l’Islanda su Ebay. L’annunncio recita in questo modo: “Situata nella parte nord dell’oceano Atlantico, l’Islanda metterà a disposizione al migliore offerente un ambiente abitabile, cavalli islandesi ed di fatto una situazione finanziaria “abbozzata”. L’offerta é partita da 99 pence, ad oggi il prezzo raggiunto è di circa 10 milioni di sterline, viene inoltre precisato che dal pacchetto é esclusa la cantate Bjork.

1.I prestiti Sub prime sono quei prestiti che vengono concessi a un soggetto che non può accedere ai tassi d’interesse di mercato, poiché ha avuto problemi pregressi nella sua storia di debitore, oppure perchè porta garanzie basse o nulle.
2.Dal 7 ottobre la Krona è agganciata ad un Peg di 131 euro, ovvero un tasso di conversione fisso o limitato all’interno di una ristretta banda di oscillazione.
3.Interessi pagati sul debito pubblico.
4.Un credit crunch - morsa del credito – È un’improvvisa riduzione della generale disponibilità di prestiti (crediti) o, un’improvviso incremento dei costi per ottenere prestiti dalle banche. Il credit crunch avviene solitamente al termine della fase di espansione, quando le banche centrali alzano i tassi di interesse al fine di raffreddare l'espansione ed evitare il rischio inflazione.
5.E' la probabilità che la controparte non sia in grado di ottemperare alle obbligazioni derivanti dal rapporto di credito, e la perdita subita in caso di default (solitamente denominata loss given default).
6.Sono polzzie caratterizzate da un forte componente finanziaria, il cui valore del capitale assicurato dipende dall'andamento del valore di un indice azionario o vari indici o a un paniere azionario o altri valori di riferimento. In genere sono garantite non dal collocatore ma da una terza parte.
7. Forma di remunerazione destinata al management di un’azienda. La stock option consiste nel concedere una retribuzione aggiuntiva agganciandola all’andamento delle azioni della società per mezzo di opzioni esercitabili da contratto ad una data scadenza.








Fonti

Sulla scheda paese – Islanda:
OECD Factbook 2008: Economic, Environmental and Social Statistics
www.oecd.org/iceland
https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook
Human development index – Islanda:
http://hdrstats.undp.org/countries/data_sheets/cty_ds_ISL.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Indice_di_sviluppo_umano
Sul collasso del sistema Islanda in generale:
www.welt.de/english-news/article2562887/Icelands-bubble-has-burst.html
http://www.ft.com/iceland
http://www.corriere.it/economia/08_ottobre_07/islanda_crisi_finanziaria_94391b32-9453-11dd-a0d8-00144f02aabc.shtml
http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/7651313.stm
Central Bank of Iceland (4 September 2008). "External debt". Retrieved on 2008-10-11.
http://en.wikipedia.org/wiki/2008_Icelandic_financial_crisis
Sull’esposizione delle banche islandesi in UK e altri paesi:
http://www.guardian.co.uk/business/2008/oct/25/icesave-banking-savings
http://www.guardian.co.uk/politics/2008/oct/17/localgovernment-localgovernment
http://www.ft.com/cms/s/0/c347a766-994b-11dd-9d48-000077b07658,dwp_uuid=a36d4c40-fb42-11dc-8c3e-000077b07658.html
Sulle Polizze Index linked garantite da Istituti di credito islandesi:
http://www.bluetg.it/protagonisti/59-il-fatto/1676-crack-islanda-100000-italiani-coinvolti.html
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2008/10/index-liked-Islanda.shtml?uuid=28d4d314-99bb-11dd-8785-67fee42ff026&DocRulesView=Libero
Sul Prestito del FMI:
http://www.swissinfo.ch/ita/rubriche/notizie_d_agenzia/economia/Crisi_mutui_Islanda_riceve_prestito_2_mld_dollari_da_Fmi.html?siteSect=163&sid=9888737&cKey=1224864610000&ty=ti&positionT=20
Sulle dinamiche della valuta islandese e altre variabili finanziarie:
http://diepresse.com/home/wirtschaft/economist/422437/index.do?from=suche.extern.google.de
http://www.corriere.it/economia/08_ottobre_14/islanda_crisi_3ecd696e-99da-11dd-a6f3-00144f02aabc.shtml
http://www.sueddeutsche.de/finanzen/9/313911/text/
http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/7651313.stm
Brogger, Tasneem; Einarsdottir, Helga Kristin. "Icelandic Shoppers Splurge as Currency Woes Reduce Food Imports". Bloomberg, L.P. 13 October 2008.
^ Iceland raises rates to 18pc as part of IMF's £1bn rescue, Telegraph, 28 October 2008
^ Historical EUR/ISK exchange rate graphs, European Central Bank
Sul cambio della guardia al femmninile per gli istituti di credito islandesi:
http://www.ft.com/cms/s/0/c347a766-994b-11dd-9d48-000077b07658,dwp_uuid=a36d4c40-fb42-11dc-8c3e-000077b07658.html
Islanda in vendita su Ebay:
http://uk.reuters.com/article/reutersEdge/idUKLNE49906S20081010


di Tiziano Giannotti, 12 novembre 2008

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lunedì 20 ottobre 2008

Costi, strumenti e il ruolo della Cina. Ecco perché Roma e Ue non si capiscono

Roma, 19 ottobre 2008 - Dopo il duro scambio di accuse dei giorni scorsi, una scheda per capire punto per punto i temi al centro dello scontro sul clima tra Roma e l'Unione Europea. Un duello che si annuncia ancora lungo e che vivrà una nuova tappa in occasione del Consiglio dei ministri dell'Ambiente che si terrà lunedì a Lussemburgo.

I COSTI

Per il governo. Secondo il governo adempiere agli obiettivi previsti dalla direttiva 20-20-20 costerebbe all'Italia una cifra compresa tra i 18 e i 25 miliardi l'anno, pari a circa l'1,14 del Pil. Dati che secondo Palazzo Chigi si desumono da valutazioni della stessa Unione Europea nei suoi studi preliminari. Risorse superiori a quelle chieste ad altri stati dell'Unione e che avrebbero l'effetto di frenare la ripresa economica nazionale. Posizione questa, in sintonia con quella di Confindustria, grande sponsor dell'indietro tutta nella lotta ai cambiamenti climatici.

Per l'Unione Europea. Secondo Bruxelles i conti vanno fatti però in maniera diversa. "La stima dei costi aggiuntivi - spiega il commissario all'Ambiente, il conservatore greco Stavros Dimas - secondo la Commissione, è pari infatti al massimo allo 0,66% del Pil. E questo dato prende in conto tutti gli elementi del pacchetto su clima ed energia: non solo gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra e per lo sviluppo delle rinnovabili, ma anche i 'meccanismi flessibili' che si possono utilizzare per raggiungerli".

Per gli ambientalisti. Gli ambientalisti insistono poi affinché parlando dell'agenda 20-20-20 il discorso venga allargato alle ricadute positive che il governo italiano sembra non voler contabilizzare. "Per l'Italia - spiega Edoardo Zanchini di Legambiente - l'Ue stima un risparmio di 7,6 miliardi l'anno nel taglio delle importazioni di idrocarburi e di 0,9 miliardi di euro nei costi per contrastare l'inquinamento. I costi effettivi pertanto scendono fino a trasformarsi in un guadagno netto di 600 milioni di euro l'anno. Questo senza contare i benefici di lungo termine sul piano dello sviluppo di un settore innovativo come quello delle rinnovabili e di crescita occupazionale".

Per gli industriali. Posizioni almeno in parte simili sono condivise anche da larghi settori dell'industria europea. Il Gruppo europeo dei dirigenti di impresa, che raggruppa i vertici di grandi società come Phillips, Shell, Tesco e Vodafone, ha inviato recentemente a ogni membro dell'Europarlamento una lettera in cui esprimeva il proprio favore nei confronti delle misure proposte. "Siamo dell'idea - si leggeva nella missiva - che i benefici di un intervento deciso e tempestivo sul cambiamento climatico siano superiori ai costi dell'inazione. Riconosciamo che le questioni legate alla competitività europea e le preoccupazioni europee riguardo alla recessione economica globale influenzeranno il dibattito, ma siamo certi che l'adozione di un pacchetto legislativo deciso ed efficace alla fine avrà effetto positivo sulle imprese europee".

I MECCANISMI FLESSIBILI

Secondo il governo. Altro tema di scontro tra Roma e l'Europa è il mercato delle emissioni di CO2 (Ets, Emission trading scheme). Si tratta in poche parole di una speciale "Borsa", la cui creazione era già prevista dal Protocollo di Kyoto, che permette agli operatori virtuosi (coloro che hanno ridotto le proprie emissioni) di vendere i tagli in eccesso alle imprese rimaste invece indietro. Un meccanismo che dovrebbe permettere di incentivare l'innovazione che migliora l'efficienza e il risparmio energetico. Secondo il presidente del Consiglio la compravendita di questi titoli assomiglia a un mercato dei derivati simile a quello dei mutui subprime e pertanto va assolutamente abbandonata.

Secondo l'Unione Europea. In questo caso da Bruxelles nessuno si è scomodato per rispondere in maniera diretta a Berlusconi, tanto il mercato delle emissioni (che gode anche della benedizione delle Nazioni Unite) è ritenuto uno strumento chiave. "Il commercio dei diritti di emissione - ha ricordato ancora il Commissario Dimas - consente alle industrie dell'Ue di scambiarsi le quote di CO2 assegnate loro, garantendo che le emissioni siano ridotte laddove è meno costoso farlo". Recentemente il meccanismo Ets è uscito tra l'altro rafforzato (anche se con delle modifiche sgradite agli ambientalisti) dal voto della Commissione Ambiente dell'Europarlamento.

USA E CINA

Secondo Berlusconi. Altro elemento portato dall'Italia a sostegno dello stop alla direttiva 20-20-20 è l'obiezione che l'Europa da sola non è in grado di ottenere nessun risultato di rilievo nel contrastare i cambiamenti climatici, mentre Stati Uniti e Cina continuano ad inquinare senza freni.

Secondo gli altri leader. Si tratta di un'affermazione vera solo in parte. I leader dell'Unione più impegnati nella lotta ambientale come Angela Merkel hanno presente il problema e non hanno esitato ad ammettere la questione, ma hanno più volte ribadito che il miglior modo per convincere i paesi emergenti recalcitranti (Cina, India e Brasile innanzitutto) è dimostrare che chi sino ad oggi ha fatto i danni maggiori (ovvero l'Occidente) sia credibile nel dare il buon esempio.

Cosa accade in Cina. Inoltre non è esattamente vero che Cina e Stati Uniti non intendono impegnarsi. Pechino, che sicuramente non vede positivamente l'idea di sottostare a vincoli internazionali, non ha però escluso del tutto un'adesione al rinnovo del Protocollo di Kyoto (dal 2012 in poi) e al momento sta mercanteggiando per ottenere aiuti tecnologici dall'Occidente. Allo stesso tempo la Cina internamente sta portando avanti obiettivi ambiziosi quanto quelli dell'Ue (rinnovabili al 19% entro il 2020) e il risparmio energetico è divenuta una delle priorità di governo indicate dal Partito comunista.

Cosa accade negli Usa. Anche negli Usa le cose non sono così statiche come descritte da Berlusconi. Pochi in questi giorni hanno sottolineato che tra i provvedimenti inseriti nel piano di salvataggio del ministro del Tesoro Henry Paulson è stato inserito anche il rifinanziamento degli incentivi alle fonti rinnovabili. Inoltre, seppur tra contraddizioni e ambiguità, tanto Obama quanto McCain, hanno ammesso la necessità di regolamentare in maniera stringente le emissioni di anidride carbonica. Aperture dettate sia dal fatto che chiunque vinca la Casa Bianca dovrà vedersela sicuramente con una maggioranza democratica (un disegno di legge in proposito è già stato depositato), sia dal fatto che molti Stati stanno andando avanti per conto proprio. A fine settembre, ad esempio, si è svolta la prima asta organizzata da una coalizione di 10 stati del Nordest, la Regional Greenhouse Gas Initiative, per l'acquisto dei diritti d emissione. Un'iniziativa che si richiama all'Ets europeo.


Tratto da:
Costi, strumenti e il ruolo della Cina ecco perché Roma e Ue non si capiscono di Valerio Gualerzi
su
Repubblica, 19 ottobre 2008

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mercoledì 30 luglio 2008

Nasce la redazione scienza

Nasce oggi InfoScienza il blog dell'informazione scientifica!

Questa redazione verrà curata da diverse persone che si rifanno ad un progetto più ampio (vedi http://scatenato.forumattivo.com/) che comprende molti settori dell'informazione. L'intenzione è quella di creare una piattaforma di informazione indipendente con più redazioni.

Questi sono i temi di interesse: scienza, ambiente, tecnologia, scuola e universita', salute, affari e finanza.

Cerchiamo validi e motivati collaboratori per il lavoro di redazione di articoli sui temi sopracitati.

Il primo criterio su cui si fonda l'iniziativa è il seguente:

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Noi ci poniamo l'obiettivo di cercare l'informazione sui temi scientifici, di verificarla con metodo scientifico e di proporla in forma usufruibile da non esperti.

Il progetto è molto ambizioso, ma noi siamo fiduciosi nell'entusiamo che un tale lavoro può accendere!

Buon lavoro!

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